Lunedì, 23 Maggio 2022 09:20

Non dimenticare: l'Italia a Palermo tra veleni appelli e polemiche

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PALERMO

Sul prato del Foro Italico migliaia di studenti, oltre mille arrivati da altre regioni, per celebrare il ricordo. Lontano da lì, nei palazzi della politica come in quelli della magistratura, un bilancio di questi trent'anni che prende la forma di una resa dei conti in cui si mescolano gli appelli a svelare le verità mancanti sulle stragi e le polemiche per un abbassamento della tensione morale. Quando alle 10 il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, approderà nel prato sul lungomare troverà una Palermo che intorno alla lotta alla mafia è tornata a incendiarsi. Con il Presidente si alterneranno negli eventi che segnano questo 23 maggio i ministri dell'Istruzione Patrizio Bianchi, dell'Interno Luciana Lamorgese, della Giustizia Marta Cartabia, dell'Università Maria Cristina Messa, degli Esteri Luigi Di Maio. E tutti arrivano nel pieno di una campagna elettorale che da settimane è incentrata sul ruolo c he hanno avuto Totò Cuffaro e Marcello Dell'Utri nella scelta del candidato del centrodestra, Roberto Lagalla. Per il centrosinistra ma anche per magistrati come Alfredo Morvillo (fratello di Francesca) e per la stessa Maria Falcone è il segnale che la guardia è stata di nuovo abbassata. «Bisogna difendere il cambiamento culturale della città che è vera alternativa alla cultura mafiosa che la governava Un passato che abbiamo il dovere di impedire che possa tornare» ha detto anche ieri il sindaco Orlando in uno degli ultimi atti della sua trentennale stagione a Palazzo delle Aquile. Per Maria Falcone «è inaccettabile che in una città che per anni è stata teatro della guerra che la mafia ha dichiarato allo Stato sia ancora necessario ribadire che chi si candida a sindaco debba esplicitamente prendere le distanze da personaggi condannati per collusioni mafiose». E ancora, per Morvillo «a trent'anni dalle stragi la Sicilia è in mano a condannati per mafia». Il riferimento è chiaramente a Cuffaro e Dell'Utri che si sono spesi, fra gli altri, per far candidare Lagalla. A «Che tempo che fa», su Rai Tre, anche Fiammetta Borsellino -dopo aver ricordato il depistaggio nelle indagini perla strage di via D'Amelio e «l'omertà non solo mafiosa ma anche istituzionale che è ben più grave»- rilancia il «problema della questione morale che sembra essere scomparsa dall'agenda di tantissimi candidati». Da qui anche gli inviti che vari ambienti dell'antimafia hanno rivolto ai candidati e a molti politici a non presenziare alle manifestazioni di oggi. Sono appelli che hanno creato ulteriore tensione. Franco Miceli, espressione del centrosinistra, andrà: «Sarò presente, come tutti gli anni. Non ho bisogno di inviti». Anche Lagalla dovrebbe esserci ma già ieri si è recato a Capaci e sul luogo della strage ha lasciato un biglietto che sa di risposta alle polemiche: «Caro Giovanni, a trent'anni da quel maledetto giorno molto è cambiato ma Palermo non è ancora una città libera dalla mafia. Continuerò a lavorare incessantemente per renderla immune da ogni contaminazione malavitosa. Te lo prometto». Nelle stesse ore l'ex ministro e vice segretario nazionale del Pd, Beppe Provenzano, andava ancora all'attacco soffiando sul fuoco della polemica: «Stanno riaffiorando personaggi e storie che la Sicilia avrebbe voluto dimenticare. Cuffaro e Dell'Utri sono inquietanti non sul piano giudiziario ma su quello del messaggio politico che si manda». L'ex presidente della Regione, tornato alla vita politica dopo la condanna a sette anni, ha chiesto in una lettera aperta «non applausi ma semplice rispetto» e ha rivendicato che «la funzione rieducativa della pena, solennemente proclamata dalla Costituzione, non può essere ridotta ad una pura evocazione di principio». E il clima non è diverso all'interno della magistratura, dove i principali protagonisti di questi 30 anni si sono divisi sulla reale portata del riscatto dalla mafia Per l'ex procuratore di Palermo Giancarlo Caselli «fino a quando abbiamo indagato sulla mafia militare abbiamo ottenuto successi imponenti: 650 ergastoli. I guai cominciarono quando salimmo di livello, quando le indagini si spostarono sulla cosiddetta zona grigia, quando toccarono i politici, a cominciare da Giulio Andreotti e Marcello Dell'Utri. A quel punto la magia del pool svanì». Frasi che assumono un tono più forte perché pronunciate non solo alla vigilia del trentennale di Capaci ma anche nei giorni in cui a Caltanissetta entra nella fase cruciale il processo contro i poliziotti imputati di infedeltà allo Stato per il falso pentito Vincenzo Scarantino e dunque sul depistaggio nelle indagini che riguardarono la strage Borsellino. Non a caso anche Luigi Patronaggio, oggi a Cagliari ma per anni alla Direzione distrettuale di Palermo, ha usato toni severi sul clima di questi giorni: «In questo gran carnevale che sembra la cifra distintiva delle celebrazioni del trentennale di quella che è stata una grande tragedia umana, professionale e politica, in pochi si sono posti una domanda che per me suona angosciante: potrebbe ripetersi questo orrore? La risposta è Palermo. II palco al Foro Italico dove si terrà la manifestazione per ricordare la strage Falcone purtroppo, drammaticamente, sì». Più ottimista Lia Sava, 58 anni, entrata in magistratura a fine marzo 1992 e oggi procuratore generale di Palermo: «La nostra generazione di magistrati fu segnata da quelle date, 23 maggio e 19 luglio. Di fatto cominciammo a lavorare davanti a quelle bare. Oggi le procure non si fermano». Anche la Sava non si è sottratta al tema delle verità ancora da svelare: «Cosa Nostra mandati dal l'esterno non se ne fa dare, non si fa guidare né comandare. A Caltanissetta abbiamo sempre parlato di concorrenti esterni». Ma forse a fotografare il clima con cui Palermo si prepara a vivere la giornata dei 30 anni da Capaci è il testimone di giustizia Ignazio Cutrò: «Mentre in città fervono i preparativi per commemorare i nostri defunti - dice - nel quartiere Brancaccio-Ciaculli si festeggia invece il ritorno a casa del mafioso Giuseppe Barranca cioè di colui che procurò, in nome e per conto dei fratelli Graviano, l'esplosivo per la strage di Capaci e per le autobombe del 1993. Non è pentito ma ha ottenuto un permesso premio».

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